Suor Pina De Angelis, cure e carezze al Cairo nell'ospedale dei bambini di Gaza
28-03-2024 07:14 - News
Suor Pina De Angelis, cure e carezze al Cairo nell'ospedale dei bambini di Gaza.
La comboniana, originaria di Foggia, ha 76 anni e vive in Egitto dal 1986. Oggi è alla guida dell'assistenza tra le corsie dell'«Umberto I» nella capitale egiziana.
Sorride suor Pina sul piazzale dell'Ospedale Umberto I del Cairo.
Sorella comboniana, «vivo in Egitto da 38 anni», racconta.
Nata in provincia di Foggia, Pina De Angelis prende i voti nel 1971. Poi una laurea in pedagogia con indirizzo teoretico a Roma. Ma anche Londra, per studiare l'inglese prima e insegnarlo poi in Sudan e il diploma al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica, fino al 2007 quando arriva all'Umberto I.
Lei che di anni ne ha 76 e di dolore ne ha visto tanto, dal 7 ottobre si dedica a tempo pieno a ricevere e curare i bambini palestinesi che arrivano nella capitale egiziana dalla Striscia colpita dai bombardamenti.
«Questa esperienza è molto forte e formativa perché obbliga a ridimensionare le nostre visioni della vita e rimettere ogni elemento al suo posto come un puzzle. In altre parole, nel mondo moderno caratterizzato e focalizzato sulla dimensione materiale ed economica delle cose, ci si dimentica del valore autentico della vita e del prossimo finché non ci si confronta con questa realtà crudele», sottolinea.
Il racconto continua durante la visita tra i diversi reparti dell'ospedale.
Fonte: CORRIERE DELLA SERA
La comboniana, originaria di Foggia, ha 76 anni e vive in Egitto dal 1986. Oggi è alla guida dell'assistenza tra le corsie dell'«Umberto I» nella capitale egiziana.
Sorride suor Pina sul piazzale dell'Ospedale Umberto I del Cairo.
Sorella comboniana, «vivo in Egitto da 38 anni», racconta.
Nata in provincia di Foggia, Pina De Angelis prende i voti nel 1971. Poi una laurea in pedagogia con indirizzo teoretico a Roma. Ma anche Londra, per studiare l'inglese prima e insegnarlo poi in Sudan e il diploma al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islamistica, fino al 2007 quando arriva all'Umberto I.
Lei che di anni ne ha 76 e di dolore ne ha visto tanto, dal 7 ottobre si dedica a tempo pieno a ricevere e curare i bambini palestinesi che arrivano nella capitale egiziana dalla Striscia colpita dai bombardamenti.
«Questa esperienza è molto forte e formativa perché obbliga a ridimensionare le nostre visioni della vita e rimettere ogni elemento al suo posto come un puzzle. In altre parole, nel mondo moderno caratterizzato e focalizzato sulla dimensione materiale ed economica delle cose, ci si dimentica del valore autentico della vita e del prossimo finché non ci si confronta con questa realtà crudele», sottolinea.
Il racconto continua durante la visita tra i diversi reparti dell'ospedale.
«Quando i bambini arrivano qui sono terrorizzati. Hanno paura di tutto, si nascondono. Hanno ancora il ricordo terribile delle bombe», spiega.
Tra i suoi pazienti, un bambino di soli 5 anni. «Mi ha colpito: al primo pranzo in ospedale si è preso una mela, un arancio, un pezzo di pane, un cetriolo e del miele, se li è stretti al petto. Non sapeva quando avrebbe potuto mangiare di nuovo».
Oppure, un giovane ragazzo palestinese rimasto paralizzato alle gambe a seguito del bombardamento della sua casa in cui hanno perso la vita 26 membri della sua famiglia. Infine Ahmed, 3 anni e mezzo, arrivato con la mamma «entrambi molto tristi perché la sorellina era ricoverata presso un altro ospedale in Egitto a 200 chilometri di distanza.
Aveva la gamba amputata, continuava a chiedere alla mamma dove fosse finito il pezzo mancante», continua Suor Pina.
Da curare non ci sono solo le ferite del corpo. « Ogni rumore evoca il ricordo di colpi di arma da fuoco e dei bombardamenti. Ogni bambino che arriva, dopo la prima notte in un contesto normale con un letto e l'acqua calda, comincia piano piano a cambiare espressione del viso». Ma c'è anche chi, nonostante le cure, non riesce a ritrovare nemmeno un poco di serenità come «una bambina, orfana della mamma deceduta nei bombardamenti e accompagnata dalla zia, aveva una gamba amputata e non riusciva a guardare in faccia nessuno tanto era grande il suo trauma».
Nel cuore dell'antico quartiere di Abasseya al Cairo, le fotografie in bianco e nero appese all'ingresso dell'ospedale raccontano la Storia della presenza italiana in Nord Africa.
Fondato nel 1903 dalla Società Italiana di Beneficenza, l'ospedale italiano Umberto I è una struttura privata attiva nel dare servizi medici sanitari sia a cittadini italiani che a stranieri. «Siamo orgogliosi di collaborare con le istituzioni Italiane, in particolare l'ambasciata d'Italia in questo momento storico molto caratterizzato - spiega il presidente Piero Donato - anche se questo è comunque sempre successo in passato, sia per i pazienti italiani residenti sia per turisti qui in Egitto: a riprova che la struttura è il simbolo che unisce il popolo italiano con quello egiziano».
Un record
È da qui che in questi mesi sono transitati i palestinesi evacuati dalle autorità italiane.
Proprio domenica si è conclusa una nuova evacuazione da Gaza di oltre 100 cittadini palestinesi, parenti di cittadini italiani, che si aggiungeranno agli altri 221 già tratti in salvo nei mesi scorsi. L'operazione, condotta dall'ambasciata in sinergia con l'Unità di crisi della Farnesina e il consolato generale di Gerusalemme, ha visto il trasporto delle persone evacuate dal valico di Rafah all'ospedale italiano Umberto I, dove hanno ricevuto cure ed ospitalità.
Un record per il nostro Paese, come sottolinea l'ambasciatore Michele Quaroni. «Si tratta del più alto numero di palestinesi evacuati da un Paese europeo per scopi umanitari. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la straordinaria sinergia tra l'ambasciata d'Italia al Cairo e l'ospedale italiano Umberto I, in particolar modo il presidente Donato e il segretario generale Frigido, nonché tutto il personale medico sotto l'esperta e instancabile guida di suor Pina.
Grazie a questa collaborazione centinaia di palestinesi, tra cui un centinaio di bambini evacuati da Gaza, hanno potuto beneficiare non soltanto di cure mediche indispensabili, ma di un riparo sicuro e di calore umano presso la struttura ospedaliera italiana nella capitale egiziana». La visita all'Umberto I è finita ma Suor Pina trova il tempo per un altro sorriso. «Il bene che facciamo non è mai abbastanza».
Tra i suoi pazienti, un bambino di soli 5 anni. «Mi ha colpito: al primo pranzo in ospedale si è preso una mela, un arancio, un pezzo di pane, un cetriolo e del miele, se li è stretti al petto. Non sapeva quando avrebbe potuto mangiare di nuovo».
Oppure, un giovane ragazzo palestinese rimasto paralizzato alle gambe a seguito del bombardamento della sua casa in cui hanno perso la vita 26 membri della sua famiglia. Infine Ahmed, 3 anni e mezzo, arrivato con la mamma «entrambi molto tristi perché la sorellina era ricoverata presso un altro ospedale in Egitto a 200 chilometri di distanza.
Aveva la gamba amputata, continuava a chiedere alla mamma dove fosse finito il pezzo mancante», continua Suor Pina.
Da curare non ci sono solo le ferite del corpo. « Ogni rumore evoca il ricordo di colpi di arma da fuoco e dei bombardamenti. Ogni bambino che arriva, dopo la prima notte in un contesto normale con un letto e l'acqua calda, comincia piano piano a cambiare espressione del viso». Ma c'è anche chi, nonostante le cure, non riesce a ritrovare nemmeno un poco di serenità come «una bambina, orfana della mamma deceduta nei bombardamenti e accompagnata dalla zia, aveva una gamba amputata e non riusciva a guardare in faccia nessuno tanto era grande il suo trauma».
Nel cuore dell'antico quartiere di Abasseya al Cairo, le fotografie in bianco e nero appese all'ingresso dell'ospedale raccontano la Storia della presenza italiana in Nord Africa.
Fondato nel 1903 dalla Società Italiana di Beneficenza, l'ospedale italiano Umberto I è una struttura privata attiva nel dare servizi medici sanitari sia a cittadini italiani che a stranieri. «Siamo orgogliosi di collaborare con le istituzioni Italiane, in particolare l'ambasciata d'Italia in questo momento storico molto caratterizzato - spiega il presidente Piero Donato - anche se questo è comunque sempre successo in passato, sia per i pazienti italiani residenti sia per turisti qui in Egitto: a riprova che la struttura è il simbolo che unisce il popolo italiano con quello egiziano».
Un record
È da qui che in questi mesi sono transitati i palestinesi evacuati dalle autorità italiane.
Proprio domenica si è conclusa una nuova evacuazione da Gaza di oltre 100 cittadini palestinesi, parenti di cittadini italiani, che si aggiungeranno agli altri 221 già tratti in salvo nei mesi scorsi. L'operazione, condotta dall'ambasciata in sinergia con l'Unità di crisi della Farnesina e il consolato generale di Gerusalemme, ha visto il trasporto delle persone evacuate dal valico di Rafah all'ospedale italiano Umberto I, dove hanno ricevuto cure ed ospitalità.
Un record per il nostro Paese, come sottolinea l'ambasciatore Michele Quaroni. «Si tratta del più alto numero di palestinesi evacuati da un Paese europeo per scopi umanitari. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza la straordinaria sinergia tra l'ambasciata d'Italia al Cairo e l'ospedale italiano Umberto I, in particolar modo il presidente Donato e il segretario generale Frigido, nonché tutto il personale medico sotto l'esperta e instancabile guida di suor Pina.
Grazie a questa collaborazione centinaia di palestinesi, tra cui un centinaio di bambini evacuati da Gaza, hanno potuto beneficiare non soltanto di cure mediche indispensabili, ma di un riparo sicuro e di calore umano presso la struttura ospedaliera italiana nella capitale egiziana». La visita all'Umberto I è finita ma Suor Pina trova il tempo per un altro sorriso. «Il bene che facciamo non è mai abbastanza».
Fonte: CORRIERE DELLA SERA
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